sabato 5 dicembre 2015

Nove!!!

Ilva, ecco il nono decreto del Governo
300 milioni per accelerare la vendita

«Abbiamo varato un decreto legge che accelera la cessione a terzi dei complessi aziendali del gruppo Ilva. Il dl fissa al 30 giugno 2016 il termine per il completamento dell’operazione di trasferimento a una nuova compagine societaria per un futuro stabile di Ilva». Lo ha annunciato Claudio De Vincenti al termine del Cdm.Per Ilva arriverà «una nuova compagine societaria che consenta di dare un futuro stabile, definitivo, di prospettiva industriale e risanamento ambientale dell'Ilva», ha sottolineato ancora il sottosegretario.
Il ministro Galletti
«La parte ambientale - ha spiegato il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti al termine del Consiglio dei ministri - resta un elemento determinante del salvataggio dell'Ilva e la posticipazione del termine di realizzazione del piano ambientale dal 4 agosto al 31 dicembre è dovuta dal fatto che il piano che presenterà l'aggiudicatario potrà portare modifiche al piano ambientale». Le modifiche, sottolinea ancora il ministro, avverranno «con le stesse procedure della formazione del piano ambientale».
La caccia a investitori italiani
Il percorso seguito finora per il risanamento dell'Ilva è stato accidentato, ricco di sorprese. E altre si annunciano, a partire da un nuovo tentativo di coinvolgere l'imprenditoria privata, italiana e internazionale, nell'azionariato del gruppo. Per il momento è una semplice eventualità, certamente difficile da realizzare perché si tratta di una strada già percorsa senza successo. Ma la situazione è d'emergenza, con perdite elevate e prospettive drammatiche perché il tesoretto di 1,2 miliardi di euro dei Riva è rimasto al riparo in Svizzera e non è affluito nelle casse del gruppo, la Cassa depositi e prestiti ha fatto sapere in un vertice a Palazzo Chigi tenuto nei giorni scorsi che non è nelle condizioni di assumersi l'intero peso del salvataggio, la nuova società (newco) che doveva essere costituita nella primavera scorsa con l'apporto d'investitori finanziari è rimasta sulla carta. Per questo occorre rimescolare le carte, o almeno tentarci. Così, per il momento con grande prudenza, sono ripartite verifiche informali per tentare l'impossibile, cioè ridare solidità all'assetto azionario dell'Ilva coinvolgendo soci privati. Mai dire mai, dunque, anche se proprio nel recente passato Piero Gnudi, all'epoca commissario straordinario unico, ci ha provato senza risparmiarsi ma senza riuscirci. E le difficoltà che hanno impedito di raggiungere l'obiettivo rimangono tutte, perfino aggravate. Nell'attesa di capire quale sarà l'esito dei contatti avviati, lo scenario di nuove partnership viene definito una semplice eventualità, che non deve interferire con il lavoro in cui sono impegnati i vertici aziendali, interamente rinnovati meno di un anno fa.
L’odissea dell’acciaieria
La Via Crucis dell'Ilva è cominciata con la fase uno, in cui era al comando il commissario straordinario Enrico Bondi, che ha puntato sul piano industriale messo a punto con i consulenti di McKinsey. Poi, uscito di scena Bondi, è arrivato Piero Gnudi, convinto che la priorità fosse trovare un nuovo assetto dell'azionariato, per ridare solidità al gruppo con l'apporto di soci privati, internazionali e italiani. I tentativi non sono riusciti, perché i potenziali azionisti hanno detto con chiarezza che i problemi dell'Ilva erano drammatici, gli investimenti ambientali non sopportabili da privati, le inchieste avviate dalla magistratura (soprattutto di Taranto) determinano un quadro di assoluta incertezza. Contemporaneamente si è fatta strada la convinzione che i privati intendessero forzare la mano, ingigantendo i problemi dell'Ilva, per poi conquistarla con quattro denari. Insomma, il sospetto è stato che ArcelorMittal guidasse una cordata della serie «I furbetti dell'acciaio», parafrasando la definizione dei «Furbetti del quartierino», coniata dallo spregiudicato finanziere Stefano Ricucci nell'estate del 2005. Così l'operazione Gnudi non ha avuto esito ed è cominciata la fase tre, con la regia dell'ex amministratore delegato di Luxottica, Andrea Guerra, passato nel ruolo di super consulente per Palazzo Chigi. L'occasione da non perdere è stata considerata l'inchiesta della Procura di Milano contro i Riva, gli ex azionisti di comando dell'Ilva, finiti sulla panchina degli imputati, ritenuti colpevoli di una lunga serie di reati. Erano giorni in cui Guerra, sia pure dietro le quinte, spendeva parole di elogio per il lavoro svolto dai magistrati milanesi. Da Palazzo di Giustizia filtravano due certezze: l'Ubs, il colosso svizzero in cui sono parcheggiati i trust dei Riva, era pronto a consegnare i quattrini (i famosi 1,2 miliardi) e la magistratura svizzera avrebbe dato via libera.
La decisione del tribunale svizzero
Il tutto si è verificato, ma è mancato l'ultimo passaggio. Nei giorni scorsi il Tribunale di Bellinzona, a cui hanno fatto ricorso in appello due esponenti della famiglia Riva, ha bloccato tutto, sottolineando (con parole dure) che il tesoretto non si tocca fino a sentenza definitiva di un processo (quello contro i Riva) ancora agli albori. Una vera doccia fredda, per l'Ilva e dintorni, arrivata all'improvviso. L'effetto è di riaprire i giochi sul futuro del gruppo che, proprio negli ultimi due mesi, ha registrato qualche notizia positiva, a partire dal contenimento delle perdite (sotto i 20 milioni al mese contro i 50 milioni dei momenti peggiori) per arrivare all'incremento del portafoglio ordini (più 23 per cento il risultato di ottobre su settembre e più 20 per cento in novembre rapportato a ottobre). Significativa, in particolare, viene considerata la vittoria nella gara promossa dalla Snam per una fornitura di oltre 5 milioni di euro. L'impegno di chi si batte in prima linea c'è. Il problema è la mancanza di soldi in cassa. E non è un problema di poco conto.
I sindacati: «Tanti dubbi, non svendere»
Il Consiglio dei Ministri, con l’ennesimo decreto, il nono, modifica ancora una volta le carte in tavola, arrivando questa volta a indicare la data di vendita dello stabilimento Ilva di Taranto e spostando in avanti il termine dell’applicazione dell’Aia. Così Rosario Rappa, segretario nazionale Fiom-Cgil in una nota. «Siamo in presenza di un decreto che rischia di scaricare i costi sul pubblico e gli utili sul privato, facendo pagare ai lavoratori attualmente occupati pesanti costi in termini occupazionali. Inoltre, riteniamo gravissima la volontà di allungare i tempi del processo di ambientalizzazione, per la quale devono essere rispettati i tempi indicati nell’Aia» afferma il sindacalista. «Ancora una volta - continua - contraddicendo quanto fino ad ora aveva dichiarato, il governo prende decisioni senza consultare le organizzazioni sindacali.» «È assolutamente necessaria una immediata convocazione alla presidenza del Consiglio dei ministri, qualora questo non avvenisse metteremo in campo tutte le iniziative di mobilitazione necessarie». «Bene iniziare a fissare date - ribatte Marco Bentivoglio segretario generale di Fim-Cisl - ma senza passi concreti di rinvio in rinvio la situazione si sta logorando irreversibilmente. Da tempo sosteniamo che il più grande siderurgico d’Europa debba essere gestito da chi ha esperienze e capacità del settore. È positivo aver fissato una data in cui cedere ad un soggetto industriale che guidi il Gruppo ad una più attenta gestione industriale e recuperi il troppo tempo perduto sull’ambientalizzazione e il rilancio industriale». (CdM)

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