domenica 12 maggio 2013

Riva rimanda le spese (e i controlli) e pressa sui ricavi... Una novità?

Centraline antidiossina. l’Ilva prende altro tempo

«Siamo di fronte non ad un cronoprogramma Aia completato per buona parte ma ad un cronoprogramma completato solo per le parti gestionali che non richiedono investimenti significativi». Sono queste le conclusioni a cui giunge Alessandro Marescotti (Peacelink) che ha analizzato punto per punto la seconda relazione trimestrale dell’Ilva in merito all’avanzamento delle prescrizioni, inviata al Garante, Vitaliano Esposito.
«Sulla base delle informazioni presenti nella relazione possiamo esprimere alcune valutazioni» dice Marescotti. Eccole. «La recente relazione dell’azienda contiene varie infrazioni all’Aia stessa – spiega il referente di Peacelink - Ad esempio non sono state installate proprio le sei centraline perimetrali che erano state annunciate il 6 agosto dell’anno scorso. E anche il campionamento in continuo della diossina non è partito, eppure doveva cominciare 4 anni fa all’avvio della legge regionale».
Nella relazione trimestrale di 91 pagine trasmessa al Ministero dell’Ambiente, Ispra, Regione Puglia, comuni di Taranto e Statte, Provincia di Taranto e Arpa, Ilva sostiene di aver ottemperato a 78 delle 94 prescrizioni del decreto. «Questo non vuol dire che è a buon punto l’Aia – continua Marescotti - ma vuol dire chel’Ilva non ha ottemperato a varie e importanti prescrizioni. Ad esempio quelle che impongono di evitare le emissioni diffuse e fuggitive. Non sono installati gli idranti supplementari per bagnare i cumuli del parco minerali, che era la cosa più celere da fare. Era la prescrizione n.11 e andava realizzata prima del 27 ottobre dello scorso anno perché era una prescrizione della prima versione dell’autorizzazione integrata ambientale». (GdM)



Ilva, presto nuova richiesta di dissequestro dell'acciaio

L'Ilva torna alla carica sull'acciaio e, con le motivazioni della Consulta in mano - le carte con cui i giudici stabiliscono la legittimità della salva Ilva - tornano a chiedere il dissequestro della merce pronta per la vendita e ancora ferma nei magazzini. Solo una parte è stata commercializzata, dopo l'ok della procura nelle scorse settimana, e si riferiva a una partita di tubi destinata all'Iraq, il cui contratto è antecedente al sequestro avvenuto il 26 novembre scorso, e per la quale l'Ilva avrebbe dovuto far fronte a costi e penali per circa 30 milioni di dollari se non fosse stata consegnata entro lo scorso 5 maggio.
La formalizzazione della nuova richiesta da parte del colosso avverrà probabilmente in settimana, con la speranza che siano superati gli ostacoli che hanno impedito ai magistrati di pronunciarsi sulla richiesta, ossia l'assenza delle motivazioni della Corte Costituzionale diffuse però il 9 maggio scorso. I prodotti finiti e semilavorati (tubi, coils e lamiere), pari a circa un milione e 700mila tonnellate per un controvalore commerciale compreso fra 800 milioni e un miliardo di euro, restano bloccati. L'Ilva conta di incassare le somme e finanziare parte degli ingenti lavori di risanamento ambientale della fabbrica. I sindacati, dal conto loro, dallo sblocco dei materiali sotto chiave attendono una piena ripresa del lavoro nell'area a freddo del siderurgico.
Sul punto, però, la Consulta non fa un esplicito riferimento alle merci sequestrate ma parla solo di merci realizzate prima del decreto e della legge e in proposito scrive: "L'intervento del legislatore che con una norma singolare autorizza la commercializzazione di tutti i prodotti, anche realizzati prima dell'entrata in vigore del dl n.207 del 2012 - è il decreto da cui è poi nata la legge di conversione 231/2012 ndr - rende esplicito un effetto necessario e implicito della autorizzazione alla prosecuzione dell'attività produttiva, giacchè non avrebbe senso alcuno permettere la produzione senza consentire la commercializzazione delle merci realizzate, attività entrambe essenziali per il normale svolgimento di un'attività imprenditoriale".
Per la Corte Costituzionale, si afferma nelle motivazioni della sentenza sulla legge 231, "distinguere tra materiale realizzato prima e dopo l'entrata in vigore del decreto legge sarebbe in contrasto con la ratio della norma generale e di quella speciale, entrambe mirate ad assicurare la continuità dell'attività aziendale e andrebbe invece nella direzione di rendere più difficoltosa possibile l'attività stessa, assottigliando le risorse disponibili per effetto della vendita di materiale non illecito in sè perchè privo di potenzialità inquinanti".
Si vedrà quindi nei prossimi giorni cosa risponderanno i magistrati di Taranto alla richiesta di dissequestro che l'Ilva dovrebbe rinnovare. Una vicenda, quest'ultima, che potrebbe incrociarsi temporalmente con nuovi, importanti sviluppi dell'inchiesta giudiziaria "Ambiente svenduto" che ha al centro proprio l'inquinamento dell'Ilva e che il 26 luglio scorso ha portato a una serie di arresti nonché al sequestro degli impianti dell'area a caldo dello stabilimento, mentre il 26 novembre ci sono stati ulteriori arresti e il sequestro delle merci attualmente oggetto di conflitto. (Rep)

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