lunedì 13 maggio 2013

ARF, ARF, AAARF!

mnews
Terzo assalto dell'Ilva all'acciaio sequestrato a novembre dalla procura di Taranto. I legali della grande fabbrica, infatti, hanno formulato una nuova istanza per ottenere la restituzione di un milione e settecentomila tonnellate di tubi, bramme e coils sequestrate a novembre perché ritenute provento di reato. La nuova richiesta è stata presentata all'indomani del deposito della sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha spazzato via i dubbi di costituzionalità della cosiddetta legge "salva Ilva". La normativa, infatti, prevede che l'azienda possa produrre e commercializzare i suoi prodotti, compresi quelli realizzati prima dell'entrata in vigore della norma.
Su questi presupposti i difensori di Ilva hanno richiesto alla procura la restituzione della merce che ha un valore di circa un miliardo di euro. Nel documento, a cui è stata allegata la sentenza della Consulta, i legali hanno più volte posto l'accento sulla illegittimità, a loro avviso, della conferma del sequestro all'indomani dell'approvazione della legge "salva Ilva".
"A far data quantomeno dal 5 gennaio, data di entrata in vigore della legge  -  scrivono gli avvocati dell'Ilva  -  il perdurante vincolo dei beni in oggetto è divenuto illegittimo". E sottolineano come "codesta procura della repubblica si sia assunta una gravissima responsabilità ad impedire la commercializzazione dei prodotti Ilva da 5 gennaio ad oggi con danni di enorme rilevanza".
La stessa istanza era stata già respinta dal gip per due volte, su parere negativo della procura. Nell'ultima occasione i giudici tarantini avevano stigmatizzato di non poter decidere senza il deposito della motivazione della sentenza della Consulta sulla legge "salva Ilva".  (Rep)

Sul punto, però, la Consulta non fa un esplicito riferimento alle merci sequestrate ma parla solo di merci realizzate prima del decreto e della legge e in proposito scrive: "L'intervento del legislatore che con una norma singolare autorizza la commercializzazione di tutti i prodotti, anche realizzati prima dell'entrata in vigore del dl n.207 del 2012 - è il decreto da cui è poi nata la legge di conversione 231/2012 ndr - rende esplicito un effetto necessario e implicito della autorizzazione alla prosecuzione dell'attività produttiva, giacchè non avrebbe senso alcuno permettere la produzione senza consentire la commercializzazione delle merci realizzate, attività entrambe essenziali per il normale svolgimento di un'attività imprenditoriale".
Per la Corte Costituzionale, si afferma nelle motivazioni della sentenza sulla legge 231, "distinguere tra materiale realizzato prima e dopo l'entrata in vigore del decreto legge sarebbe in contrasto con la ratio della norma generale e di quella speciale, entrambe mirate ad assicurare la continuità dell'attività aziendale e andrebbe invece nella direzione di rendere più difficoltosa possibile l'attività stessa, assottigliando le risorse disponibili per effetto della vendita di materiale non illecito in sè perchè privo di potenzialità inquinanti".
Si vedrà quindi nei prossimi giorni cosa risponderanno i magistrati di Taranto alla richiesta di dissequestro. (Rep)


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