martedì 28 maggio 2013

Al lupo?

Il gruppo Riva in attesa dei finanziamenti economici Ue cerca l'aiuto dello Stato. A Roma l'ad Enrico Bondi incontrerà il ministro dell'Economia Zanonato e il governatore Vendola. Ipotesi nazionalizzazione
 
Quando si conclude il Cda straordinario dell'Ilva Spa convocato ieri mattina a Milano dopo l'ultima iniziativa della magistratura, Taranto è semi deserta. Ma l'ultimo ricatto del gruppo Riva alla città e l'ennesimo atto di sfida nei confronti della procura, in un attimo fa il giro della città. L'intero Cda ha rassegnato le dimissioni: l'amministratore delegato Enrico Bondi, insediatosi ad aprile, il presidente Ilva Bruno Ferrante, tra gli indagati dell'ultimo provvedimento della procura ed il consigliere Giuseppe De Iure (tutti uomini fidati della famiglia Riva). I tre resteranno ai loro posti sino al prossimo Cda convocato il 5 giugno: in quell'occasione l'assemblea dei soci deciderà se accettare le dimissioni in toto o in parte, oppure, eventualità da non escludersi, rimettere tutto nelle mani dell'amministratore del sequestro preventivo dei beni della Riva Fire nominato venerdì dal gip di Taranto, Mario Tagarelli. Inoltre, il Cda ha annunciato di aver dato mandato ai legali dell'Ilva, di ricorrere nelle sedi competenti contro l'ultimo provvedimento della procura ionica. Come si può facilmente evincere, dunque, siamo nel campo delle ipotesi. Ma l'obiettivo, ancora una volta, è stato centrato in pieno. Perché immediatamente dopo l'annuncio delle dimissioni del Cda, sindacati, istituzioni locali e nazionali hanno iniziato il solito teatrino di dichiarazioni allarmistiche sul futuro sempre più incerto che attende il più grande siderurgico d'Europa, da cui dipende gran parte dell'industria meccanica del paese. Del resto, il Cda dell'Ilva ha scientificamente affondato il dito nella piaga: se chiude Taranto, sono a rischio 24mila posti di lavoro diretti che insieme a quelli dell'indotto raggiungerebbero le 40mila unità. Nessuno, però, si è soffermato sulle motivazioni che hanno portato il Cda alle dimissioni. Nella nota diffusa dall'ufficio stampa dell'Ilva, si legge infatti che «l'ordinanza dell'Autorità giudiziaria colpisce i beni di pertinenza di Riva Fire e in via residuale gli immobili di Ilva che non siano strettamente indispensabili all'esercizio dell'attività produttiva nello stabilimento di Taranto. Per tali motivi il provvedimento ha effetti oggettivamente negativi per Ilva, i cui beni sono tutti strettamente indispensabili all'attività industriale e per questo tutelati dalla legge 231/2012, dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale». In pratica, pur riguardando il sequestro soltanto la Riva Fire Spa, il gruppo Riva ritiene «oggettivamente» danneggiato nelle sue funzioni l'attività del siderurgico che risponde all'Ilva Spa, separata lo scorso gennaio dal ramo principale del gruppo (la Riva Forni Elettrici, ndr ), garantita e protetta dalla legge 231/2012 entrata in vigore a dicembre e giudicata costituzionale dalla Consulta lo scorso 9 aprile. Perché allora se l'Ilva può continuare a produrre, commercializzare il materiale, incassare la liquidità necessaria per acquistare le materie prime dall'estero e pagare regolarmente gli stipendi degli operai così come avvenuto sino ad oggi, si decide di tornare a mettere in discussione tutta la filiera dell'acciaio? Il problema, ancora una volta, risiede nell'applicazione dell'Aia e della reale situazione economica dell'Ilva Spa, la cui gestione non a caso era stata affidata al liquidatore per eccellenza Enrico Bondi. La «nuova» Ilva Spa, nata appena lo scorso gennaio, non ha le risorse economiche per affrontare i lavori di risanamento imposti all'azienda e da effettuare entro il 2015. Non a caso non è stato ancora presentato il piano finanziario a garanzia della copertura economica dei lavori previsti, così come non è stato redatto il piano industriale. Né è praticabile alcun aumento di capitale, visto che non si sa chi dovrebbe immettere liquidi immediatamente esigibili per garantire un futuro all'azienda. Ed ecco che, stante così le cose, il vero piano dei Riva inizia a palesarsi per ciò che in realtà è sempre stato. Ovvero da un lato attendere gli aiuti economici previsti dal piano Ue per il settore siderurgico che sarà presentato ai primi di giugno dal vice commissario Antonio Tajani, dall'altro obbligare lo Stato a farsi carico della gestione di uno stabilimento abbandonato al suo destino dal gruppo Riva da diversi mesi. Ed in serata arriva guarda caso la notizia che in molti attendevano: domani a Roma il ministro dello Sviluppo economico Zanonato, incontrerà Enrico Bondi ed il governatore pugliese Vendola, e forse i sindacati. Il tempo stringe: ma sarà vero? (Manifesto)

Ilva ormai allo sbando “Impossibile la produzione”

NSA
Bloccati tutti i conti: si dimettono anche i capireparto

Siamo ormai al conto alla rovescia. Riva Fire, la capogruppo della famiglia Riva, annuncia che «sono a rischio 20.000 posti di lavoro» dei dipendenti diretti e altrettanti di indiretti, «ed è fortemente compromesso l’iter per l’approvazione del piano industriale 2013-2018». Il presidente dell’Ilva spa, Bruno Ferrante, e l’ad Enrico Bondi, dimissionari, incontrano al ministero per lo Sviluppo economico ministri e sottosegretari e denunciano che il sequestro degli 8,1 miliardi equivalenti rende impossibile la produzione e il risanamento degli impianti.

In fabbrica a Taranto, siamo alla vigilia di forti tensioni provocate dalla protesta del quadro dirigente intermedio che non si sente più garantito economicamente - essendo dipendenti della Riva Fire - e con le spalle coperte, temendo di finire sotto inchiesta della procura di Taranto. Carte di credito bloccate, impossibilità di pagare trasferte, pranzi. E si dimettono pure una trentina tra capi reparto e capi squadra. Insomma, siamo allo sbando. La riunione di ieri convocata dal ministro allo Sviluppo economico, Flavio Zanonato, doveva servire per istruire la «pratica» Ilva che si discuterà oggi a Palazzo Chigi. Il premier Enrico Letta e il governo incontreranno le parti sociali. A un certo punto l’incontro è proseguito senza la delegazione dell’Ilva. Mentre Zanonato, il ministro per l’Ambiente, Andrea Orlando, il governatore Nichi Vendola, il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, viceministri e sottosegretari continuavano la discussione, da Taranto, dal Garante per l’attuazione dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), Vitaliano Esposito (ex procuratore generale della Cassazione), è arrivato un segnale di cambiamento di rotta. «Sono molto preoccupato per la tensione che si respira - dice il Garante - Invito tutti alla calma. Ai sindacati ho detto che siamo di fronte a gravi inadempienze da parte dell’azienda nell’attuazione dell’Aia».

Le prescrizioni non attuate sono una decina, la più grave è la mancata copertura del treno nastri; e adesso, annuncia Esposito, «si passerà alla fase sanzionatoria di competenza del prefetto». E’ nei fatti l’anticamera del commissariamento. Esposito mette in risalto «la convergenza del provvedimento giudiziario con la filosofia della legge che stabilisce che l’Ilva deve applicare gli adempimenti dell’Aia».

Il garante, l’ex procuratore generale della Cassazione Esposito invita ad aspettare la nuova relazione trimestrale dell’Ispra, che dovrebbe essere consegnata il 7 giugno, sullo stato dell’arte della messa in sicurezza degli impianti. Una relazione che si annuncia fortemente negativa per l’Ilva. Già un dossier del ministero dell’Ambiente, ieri sul tavolo del ministro Andrea Orlando, evidenzia «le inadempienze dell’Ilva e le sue criticità molto forti». Esplicito ieri il governatore della Puglia, Nichi Vendola: «Di fronte alle inadempienze dell’Ilva si deve procedere alla sua messa in amministrazione straordinaria».

E dire che la legge 231 del 24 dicembre del 2012 andava incontro alle esigenze della grande fabbrica, stabilendo una moratoria di 36 mesi entro i quali continuare a produrre e vendere acciaio, mentre procedevano i lavori per mettere a norma gli impianti. Uno schema per nulla apprezzato dalla magistratura tarantina che ha sollevato prima il conflitto di attribuzione e poi l’incostituzionalità della legge davanti alla Consulta che, invece, ha legittimato la legge.

La situazione sta precipitando. Sul tavolo del governo ci sono due opzioni: contestare le inadempienze nella applicazione dell’Aia, e quindi arrivare al commissariamento dell’Ilva spa, o sfruttare la legge sullo stato di crisi delle aziende in fase di pre fallimento e nominare il commissario. Sarà decisiva la scadenza del 12 giugno quando la Commissione Europea varerà il Piano dell’acciaio, che dovrebbe prevedere un prestito di 3 miliardi di euro: risorse decisive per l’attuazione dell’Aia.

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