domenica 5 agosto 2012

Licenziato il sicario di Riva

Conversazioni che scottano «Serve pagare la stampa» l’Ilva licenzia un funzionario

Girolamo Archinà - sino a ieri pomeriggio super pr dell’Ilva - conosceva per mestiere tante persone ma tra il ventaglio di conoscenze, svelate impietosamente dai mesi di intercettazioni telefoniche e ambientali compiute dai militari della Guardia di Finanza, non c’è il ministro dell’Ambiente Corrado Clini. Ieri la Gazzetta ha riferito di un colloquio avvenuto tra Archinà e un consulente del gruppo Riva nel 2010, chiacchierata nella quale Clini, allora direttore generale del Ministero dell’Ambiente, viene definito «uomo nostro». Clini ha però smentito con decisione qualsiasi contatto con la dirigenza dell’Ilva, lamentandosi della diffusione della intercettazione (il cui contenuto la Gazzetta conferma integralmente), dalla quale intravede «l’evidente l’intento insinuante e suggestivo, perché sfornita di qualsiasi supporto probatorio».

 L’ARPA - Archinà, licenziato ieri pomeriggio dall’Ilva dopo quanto emerso nel corso dell’udienza al tribunale del Riesame, conosce tante persone. Tra queste c’è il direttore dell’Arpa Puglia Giorgio Assennato che chiama il 21 giugno del 2010 per fargli le sue rimostranze verso un documento che a suo dire porterebbe alla chiusura dello stabilimento Ilva. Si tratta di una lettera dell’Arpa, firmata dai funzionari Blonda e Giua, relativa al benzo(a)pirene. Archinà è preoccupato perché all’Ilva potrebbe essere imposta una riduzione della produzione, riuscendo a trovare una soluzione. ARCHINA’: Ci complica sempre la vita, porca miseria! ASSENNATO: Non si complica la vita, queste sono le nostre proposte, che d’altra parte erano già note. E dopo di che si fa una riunione tecnica con l’Ilva e si vede che cosa concretamente si riesce a definire, se si riesce a definire, se non si può definire niente non c’è problema, qual è il problema? Ma noi questo l’avevamo già detto! Cioè non, che cosa c’è di soprendente rispetto a quello che avevamo già detto? ARCHINA’: ma no di sorprendente...di sorprendente c’è parecchio, che cioè nel senso... ASSENNATO: e che cosa? ARCHINA’: allora, la riduzione...ci sono tutte le forme di riduzione produttive e a funzione dei venti che questo e per esempio... ASSENNATO: questo è quello che avevamo già anticipato che è una ipotesi se viene fuori da un tavolo tecnico o una ipotesi diversa concertata da Ilva e dall’Arpa ma trasmetteremo alla Regione dicendo che siamo d’accordo per un tavolo tecnico con Ilva che lo stesso risultato si ottiene diversamente. ARCHINA’: va bene.

IL SINDACO E LA STAMPA - Tra giugno e luglio del 2010 l’Ilva vive giorni difficili. La coscienza ambientale tra i tarantini aumenta e con essa il numero di denunce. Il sindaco Ezio Stefàno firma una ordinanza con la quale vieta ai bambini di giocare in una piazza del rione Tamburi. Archinà parla al telefono con un consulente del gruppo Riva. Archinà giustifica Stefàno «si è presa la denuncia, quindi per reazione che deve fare, ti fa l’ordinanza». E all’interlocutore che lo sollecita a fare qualcosa contro gli ambientalisti, testualmente da colpire, dice. ARCHINA’: è così che bisogna fare, è così che bisogna fare più che prendersela col sindaco e interrompere i rapporti col sindaco, più che prendersela con il procuratore e che lui l’azione penale è obbligatoria, più che prendersela, cioè il problema è questo, nel momento in cui ti fanno le denunce, ti fanno le sollecitazioni, trovano una sporca stampa che fa da cassa di risonanza. Perché il problema è questo, purtroppo ancora una volta...sono costretto a dire avevo ragione! Cioè, io ho sempre sostenuto che bisogna pagare la stampa per tagliarli la lingua! Cioè pagare la stampa per non parlare!

L’AVVOCATO E I CONTROLLI - Non c’è solo Archinà nel mirino degli uomini delle Fiamme Gialle. Intercettando Fabio Riva, vicepresidente del gruppo e indagato per concorso in corruzione in atti giudiziari con Archinà, l’ex direttore dello stabilimento siderurgico Luigi Capogrosso e il consulente della Procura Lorenzo Liberti, gli inquirenti svelano i rapporti esistenti tra l’avvocato Franco Perli, uno dei componenti del collegio difensivo dell’Ilva , e Luigi Pelaggi, capo dipartimento del ministero dell’Ambiente. Perli il 9 giugno del 2010 dice a Fabio Riva che Pelaggi ha dato precise disposizioni all’ingegner Dario Ticali, presidente della Commissione istruttoria per l’autorizzazione ambientale integrata su come procedere nell’immediato futuro nel corso dell’iter della trattazione. «L’avvocato Perli chiama Fabio Riva, lo avvisa che è stato contattato da Pelaggi - si legge nel brogliaccio - con il quale ha discusso della situazione dopo aver visionato la documentazione. Perli dice che adesso si incontrerà con Pelaggi per discutere della strategia da adottare, gli riferisce che Pelaggi ha dato disposizione a Ticali di parlare con Assennato. Perli gli comunica che Pelaggi gli ha anche riferito che la Commissione ha accetato il 90% delle loro osservazioni e che la visita riguarda il restane 10%. Perli aggiunge che non avranno sorprese e comunque la visita della Commissione in stabilimento va un po’ pilotata». Stralci di colloqui, una piccola goccia - 60 pagine appena - nel mare magnum di una informativa lunga 1000 pagine, in grado di svelare la fitta trama di contatti che l’Ilva aveva intessuto con i palazzi del potere, le redazioni giornalistiche, gli organi di controllo.(GdM)
---------------------------------------------------------------

Ilva, il legale al figlio del patron Riva: "Pilotare la visita della commissione"

Due dirigenti al telefono: «Parlare con Corrado».
Ma il ministro dell’Ambiente Clini: «Non c’entro»

Che impressione il dirigente dell’Ilva che dice al telefono: «Ai giornalisti bisogna tagliargli la lingua, e cioè pagarli». Ma c’è anche l’avvocato che assicura il figlio del patron Riva: «La visita della commissione nello stabilimento va un po’ pilotata». Non fa una bella figura neppure il dirigente regionale dell’Arpa, l’Azienda regionale protezione ambiente, che all’uomo Ilva che si altera perché certe analisi sono risultate negative, a mo’ di giustificazione dice: «Sono solo osservazioni... mica prescrizioni...».
E’ uno Stato a sé la più grande acciaieria d’Europa. Con le sue regole e i suoi principi. Potremmo dire che era uno Stato a sé, perché adesso la nuova dirigenza, il presidente Bruno Ferrante, riconosce la sovranità della legge e caccia via gli impresentabili, che fino a ieri erano destinati a rappresentare l’azienda ai tavoli tecnici.
In queste ore, il Riesame sta decidendo il destino dell’Ilva e di Taranto. In gioco ci sono otto custodie cautelari agli arresti domiciliari e il sequestro di sei impianti dell’area a caldo dello stabilimento.
Se la linea Maginot dell’Ilva è stata quella di dimostrare di aver sempre rispettato l’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale - mentre l’accusa sostiene che le fonti di inquinamento sono le polveri e le diossine «diffuse e fuggitive» disperse non tanto dai camini, e quelle sono le emissioni convogliate i cui limiti sono fissati dall’Aia le nuove carte depositate dall’accusa al Tribunale del Riesame gettano una luce sinistra sulla stessa genuinità dell’Autorizzazione integrata ambientale.

Parlare con Corrado
In un brogliaccio di una telefonata tra due dirigenti Ilva si accenna alla necessità di «parlare con Corrado...». La telefonata in questione non è stata depositata al Riesame, fa parte di un altro fascicolo, e nel brogliaccio gli uomini della Finanza ipotizzano che si tratti di Corrado Clini, all’epoca dei fatti direttore generale del Ministero dell’Ambiente. Un giornale locale fa il nome del ministro Clini, il quale protesta per essere stato tirato in ballo: «Non ho mai avuto rapporti con il gruppo dirigente dell’Ilva né mi sono mai occupato dell’Aia».
Quella intercettazione fa parte di un fascicolo che vede Girolamo Archinà, responsabile relazioni istituzionali dell’Ilva di Taranto, indagato per corruzione in atti giudiziari, per aver corrotto un perito dell’accusa, il professor Liberti. Nove mesi di intercettazioni. Archinà (che ieri sera il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, ha cacciato via dall’Ilva) ha parlato con mezzo mondo: politici, sindacati, uomini delle istituzioni. Sicuramente hanno discusso anche di richieste di posti di lavoro e di favori garantiti. Ma questa è un’altra storia (processuale).

La commissione pilotata
Si legge nel rapporto della Finanza: «Il fatto che la commissione Ipcc debba essere pilotata, e che sia stata in un certo qual modo avvicinata, si rileva anche dalla conversazione nella quale l’avvocato Perli aggiorna Fabio Riva dei rapporti avuti con l’avvocato Luigi Pelaggi, Capo dipartimento del ministero dell’Ambiente. Da quanto riferisce il Perli si rileva che Pelaggi abbia dato precise disposizioni all’ingegnere Dario Ticali - il presidente della Commissione Ipcc - su come procedere nell’immediato futuro nel corso dell’iter di dette trattazioni. Perri aggiunge che non avranno sorprese e comunque che la visita della commissione nello stabilimento va un po’ pilotata».
Siamo nel giugno del 2010 e l’Aia stava per essere approvata. Nel marzo, c’era stata quella campagna di rilevamenti dell’Arpa che non era piaciuta all’azienda. I valori di benzapirene erano tre volte superiori a quelli accettabili. «In questo modo - dice Archinà al direttore dell’Arpa, Giorgio Assennato - farete chiudere l’Ilva...».
E dunque, quando arriva la commissione Ipcc, l’avvocato Perli se ne esce con una frase colorita: «Ai dobbiamo tenere (si riferisce ai componenti della commissione, ndr) legati alla sedia: “Non avremo sorprese”».

Le altre telefonate
E quando si tratta di impiantare negli stabilimenti a rischio (non solo l’Ilva, ma anche Eni per esempio) le centraline per i rilevamenti, il direttore dell’impianto, l’ingegnere Capogrosso se ne esce: «Col cavolo che gli consentiamo - dice in sostanza - di metterle nell’area dello stabilimento». E infatti chissà perché le centraline sono fuori dai confini dell’acciaieria.
Ma in un’altra telefonata, il responsabile - cacciato giusto ieri dal presidente dell’azienda tarantina, Bruno Ferrante - delle relazioni istituzionali Archinà, se la prende con la gestione interna delle «comunicazioni»: «Purtroppo ancora una volta sono costretto a dire che avevo ragione. Io ho sempre sostenuto che bisogna pagare la stampa per tagliarle la lingua, cioè pagare la stampa per non parlare».
Quando escono dall’aula del Riesame, gli avvocati dell’Ilva sono raggianti: «Noi abbiamo sostenuto che l’azienda ha sempre rispettato le prescrizioni dell’Aia - dice l’avvocato De Luca - e tutti i rilevamenti dell’Arpa non sono mai usciti dai parametri di legge. Le polveri? A Taranto nei quartieri più esposti, Tamburi e Borgo, non sono mai stati superati i 35 microgrammi per metro cubo. A Milano, sono 52 di media».(La Stampa)

----------------------------------

Politici, sindacalisti e anche prelati
la rete d'oro dell'uomo pr dell'Ilva

Un sistema di potere impressionante messo in piedi dal dirigente del siderurgico, Girolamo Archinà. E non è finita. La Finanza spulcia nove mesi di intercettazioni. Ferrante lo licenzia

La "repubblica indipendente dell'Ilva" tutto vedeva e a tutti provvedeva. Dagli uomini politici ai sindacalisti, dagli alti prelati ai giornalisti. Tremano gli operai, perché i magistrati sequestrano l'area "a caldo" del più grande centro siderurgico d'Europa. Ma adesso trema anche tutta Taranto, perché dalle carte di un'altra inchiesta penale tuttora coperta dal segreto istruttorio potrebbe saltare fuori l'immagine di una città più o meno compromessa col re dell'acciaio, Emilio Riva. L'indagine la coordina il pm Remo Epifani, che chiede sei mesi di proroga. Il reato è quello di corruzione in atti giudiziari.
Si tratta della stessa indagine da cui il procuratore Franco Sebastio e il sostituto Mariano Buccoliero stralciano tra le dieci e le quindici intercettazioni per dimostrare che gli otto indagati accusati di disastro ambientale devono rimanere ai domiciliari perché potrebbero continuare, se fossero in libertà, a inquinare le prove. Ma ci sono altre decine di telefonate ascoltate dagli investigatori della Finanza e tuttora riservate, che raccontano della capacità di Ilva di tessere una impareggiabile rete di rapporti, ma pure dell'insistenza di chi dall'Ilva reclama piaceri, favori, un occhio di riguardo o solo un'attenzione particolare. Uomini politici che favorirebbero assunzioni, sindacalisti o ex sindacalisti che non disdegnerebbero promozioni aziendali o l'assegnazione di premi di produzione, preti altolocati che porgerebbero l'altra guancia
se riuscissero a ottenere il contributo richiesto, cronisti disposti a diventare malleabili.
Nei documenti nascosti di un processo destinato a prendere forma, si materializza lo spaccato di una comunità ostaggio nel bene come nel male dei "padroni delle ferriere". Tutto ruoterebbe attorno alla figura di Girolamo Archinà, da ieri ex responsabile delle relazioni istituzionali di Ilva nel capoluogo ionico. Era, perfino inevitabilmente, arruolato per chiacchierare con tutti. Ma non per questo autorizzato ad alzare la voce, come fa invece col direttore generale dell'Arpa, il professor Giorgio Assennato: protesta dopo l'uscita di un dossier dell'agenzia per l'ambiente che "a suo dire porterebbe alla chiusura dello stabilimento" annotano le fiamme gialle.
La conversazione telefonica risale al 21 giugno del 2010. Dodici giorni prima, un avvocato dell'Ilva, Francesco Perli, spiegava a Fabio Riva che la visita della commissione istruttoria l'autorizzazione ambientale integrata "va un po' pilotata" e che la pignoleria di Assennato "è dettata da ambizioni politiche". Tutto parte proprio dall'eclettico Archinà, filmato mentre consegna all'ombra di una stazione di servizio di Acquaviva delle Fonti una busta bianca al professore universitario Lorenzo Liberti. Non un professore qualsiasi, ma il consulente della procura ingaggiato per mettere a nudo presunti giochi di prestigio dell'Ilva lungo il fronte della tutela ambientale. Lo sospettano tuttavia di avere intascato denaro per 10mila euro.
Comincia così questa storia, tenuta insieme dalle maledette-benedette intercettazioni andate avanti per nove mesi, nel 2010. Due anni più tardi Bruno Ferrante, nuovo presidente di Ilva, taglia la testa al toro: "La società ha da oggi (ieri, ndr) interrotto ogni rapporto di lavoro con il signor Girolamo Archinà che pertanto in alcun modo e in nessuna sede può rappresentare la società stessa". E' la linea riveduta e corretta impressa alla multinazionale dall'ex prefetto di Milano: patti chiari e amicizia lunga. Con tutti. Per "abbassare i toni e essere meno conflittuali". (LaRepubblica)

Nessun commento: