mercoledì 28 marzo 2012

Per capirne di più..

Precari e veleni, Taranto muore
di Michele Azzu

Seicento operai senza futuro. E una fabbrica, l'Ilva, che continua a inquinare. Il risultato è una guerra senza fine tra chi vuole un lavoro e chi non vuole morire intossicato. E nemmeno Vendola riesce a venirne a capo
(28 marzo 2012)
«'A gueeerra, 'a gueeerra!» urlava il piccolo Giovanni per i vicoli di Taranto, mentre assieme agli amici lanciava sassi ai questurini. Era il 1963 e a Giovanni, il figlio del fornaio, pareva proprio di stare in guerra: da una parte i tarantini a protestare contro il taglio delle convenzioni mutalistiche, dall'altra la polizia a reprimere con forza la manifestazione. Se passate oggi nelle strade di quel quartiere antico che chiamano "L'isola", sembra proprio ci sia stata una guerra in quei palazzi mai ristrutturati che sembrano sventrati dalle bombe. E nonostante siano passati 50 anni - e Giovanni sia ora autore teatrale - a Taranto la guerra non è finita: da una parte gli operai Ilva che lottano per i contratti e per la sicurezza sul lavoro, dall'altra una gran parte della cittadinanza chiede la chiusura dello stabilimento per porre fine all'inquinamento.

E' una guerra fatta di solitudini.
Sono rimasti soli i 'somministrati' dell'Ilva, cioè i precari assunti tramite agenzia interinale: che per ben due volte - nel novembre 2010 e solo un mese fa - hanno occupato il ponte davanti la fabbrica per ottenere l'assunzione. Ci sono i sindacalisti come Lorenzo Semeraro, cancellato d'ufficio dalla Fiom, lui che chiedeva la messa in sicurezza del tubificio: «Sei mesi prima era morto un ragazzo, schiacciato dai tubi», racconta. Solo è anche Saverio Farilla, operaio che si denuncia vittima di mobbing e che su Facebook minaccia: «Al prossimo rapporto disciplinare la mia vita finirà».

Fuori dall'Ilva, invece, ci ci sono gli ambientalisti come Fabio Matacchiera, che è stato minacciato di morte: «Mi hanno mostrato la pistola all'uscita di casa», dice. «Taranto è una città che potrebbe essere bella come Taormina», spiega Marco che ha una piccola impresa e che pensa a trasferirsi altrove. Ma Taranto è anche una città devastata, con l'Ilva grande il doppio la città, e in mezzo a quei 12 comignoli di fumo che racchiudono l'orizzonte c'è ancora un gruppo di persone, sole, che combattono una guerra per la sopravvivenza.

I somministrati
Incontriamo Nico Leggieri e Vincenzo Collocolo, i due leader dei somministrati dell'Ilva, nel quartiere Tamburi, ai piedi dello stabilimento. Le case sono popolari, coi panni stesi fuori, e per la via principale il riferimento non è un campanile ma la ciminiera azzurra. «Ai cancelli abbiamo occupato il ponte per ben due volte - racconta Nico - l'ultima solo a febbraio».

Nel novembre 2010 erano in venti sul ponte, al freddo, e portavano avanti uno sciopero della fame. I somministrati erano 600 in Ilva nel 2008, e come da accordo con i sindacati dovevano essere tutti regolarizzati entro due anni. Due anni dopo, invece, vengono tutti licenziati: «A quel punto decidemmo di occupare il ponte», racconta Nico. Vendola fece un accordo con l'azienda: entro un anno i somministrati saranno assunti.

Nico e Vincenzo sono stati sì assunti, ma a tempo determinato e in due ditte appaltatrici differenti, non all'Ilva stessa come nell'accordo firmato da Vendola. «Sto otto ore al giorno in un magazzino, a non fare nulla», spiega Leggieri, «solo, con la compagnia di due cani». Per i due giovani operai, che hanno figli piccoli, lo scopo dell'assunzione sarebbe stato allontanarli dal resto dei lavoratori: «A me dopo qualche tempo mi hanno chiamato in direzione della ditta dove lavoro ora», spiega Vincenzo, «per chiedermi spiegazioni. Dall'Ilva chiamavano spesso per sapere come mi comportavo», sostiene il lavoratore.

Nel frattempo l'azienda ha assunto altri 140 somministrati, ex novo. Così i 'vecchi' operai somministrati, il 14 febbraio di quest'anno decidono di tornare sul ponte. Ancora al freddo, perchè l'accordo del 9 dicembre 2010 venga rispettato. «Mi ha chiamato la Fornero mentre stavo sul ponte», racconta Nico. «Aveva un tono molto serio e mi ha detto che la questione stava nelle mani di Vendola». Il governatore della Puglia arriva poco dopo e promette che in due settimane troverà una soluzione. «Stiamo inseguendo Vendola ad ogni incontro a Taranto e Bari. Gli stiamo col fiato sul collo». All'ultima visita i due operai sono riusciti ad incontrare il governatore, che ha assicurato una soluzione entro il 30 marzo.

Il sindacalista.
Lorenzo Semeraro fino al 2008 ha lavorato all'Ilva, e lì dentro è rimasto per sette anni. «Ero Rsu Fiom, ma dopo aver scritto una lettera a Rinaldini dove dicevo che la Fiom a Taranto era troppo morbida, mi sono allontanato dal sindacato», racconta l'ex sindacalista. «Ho subìto tanti provvedimenti disciplinari all'Ilva, e mi hanno lasciato solo - continua - alla fine mi firmavo "Rsu libero"». Ha lottato, Lorenzo, per tante battaglie, alcune vinte e molte perse: «Ricordo l'ultima, bloccammo la produzione perchè si mettesse in sicurezza un tubificio dove i tubi non erano bloccati per bene». Solo sei mesi prima era morto un operaio di 26 anni, Domenico Occhinegro, schiacciato dai tubi. Poi la lettera a Rinaldini, e la cancellazione d'ufficio dalla Fiom: «Nessuno mi disse che non ero più in Fiom - dice Lorenzo - lo scoprii quando mi accorsi di non aver ricevuto le trattenute sindacali in busta paga».

Così Lorenzo ha fatto il sindacalista gratis per alcuni mesi, poi non ce l'ha fatta più: «Ho accettato la mobilità e sono andato via. Vivere all'Ilva è stato massacrante, o ti pieghi o soffri. Non sono l'unico sindacalista finito male là dentro. Penso a Massimo Battista, che era il più 'pericoloso' dei delegati sindacali e ora è isolato da tutti».

Mobbing.
All'Ilva, da otto anni, lavora anche Saverio Farilla, che per due volte ha fatto parlare di sè. Nel 2008, da responsabile della sicurezza nel reparto di sua competenza aveva addirittura chiamato la Digos in stabilimento, per accertare la persecuzione che denunciava nei suoi confronti da parte dei dirigenti aziendali.

Saverio era stato carabiniere, poi aveva lavorato in un'agenzia di investigazione, e una volta entrato in Ilva era subito diventato caporeparto con mansioni di controllo sicurezza, poi rsu Fiom. Ma in fabbrica erano troppe, secondo lui, le misure di sicurezza regolarmente disattese. Anche lui come Lorenzo Semeraro inizia a protestare, e viene relegato in un reparto isolato.

Saverio inizia a soffrire di attacchi di panico, cosa che non gli era mai successa prima. Dopo aver chiamato la Digos cade tutto nel dimenticatoio: in Italia il reato di mobbing non esiste. Ad oggi sono 24 i provvedimenti disciplinari in cui Saverio è incorso al lavoro, una media da record, per questo ai primi di marzo ha scritto sul suo profilo Facebook: «Al prossimo rapporto disciplinare la mia vita finirà per sempre (...) Spero che poi si parlerà di me per aiutare tanti altri lavoratori». Ora Saverio ha una causa in corso tramite l'Inail per il riconoscimento della malattia professionale.

La fabbrica lavora di notte
Se la notte passerete nei paraggi dello stabilimento vedrete grandi volute di fumo rosso, sotto il cielo stellato. La fabbrica lavora anche di notte, e per gli ambientalisti come Fabio Matacchiera il buio potrebbe favorire l'assenza dei controlli alle emissioni, come sostiene in un video agli infrarossi del 2010, che gli è costato una querela. Matacchiera negli anni '80 è stato campione di nuoto, poi si è specializzato in riprese subacquee e ha collaborato a documentari per la Rai e Folco Quilici.

Ora ha fondato la onlus "Fondo Antidiossina Taranto" che è stata fondamentale per la rilevazione delle diossine nelle cozze del mar piccolo: «Segnalammo che le cozze del fondale erano inquinate e fui sottoposto a una gogna mediatica», racconta, «ma cinque mesi dopo Asl e Arpa ci hanno dato ragione».

In questi giorni sono in fase di svolgimento al tribunale di Taranto le indagini preliminari al processo che accusa l'Ilva di inquinamento, con l'ausilio di una maxi perizia che per la prima volta individua le patologie derivanti dalle emissioni inquinanti: «Il Gip Todisco sta facendo chiarezza», commenta Matacchiera, «e per la perizia si è affidata a periti esterni alla provincia di Taranto». Ma come si coniugano le richieste sull'inquinamento con l'esigenza di lavoro? «Io sono in contatto con molti operai, che vivono in condizioni difficili... l'inquinamento è prima di tutto un loro problema. Dalle bonifiche ci sarebbe lavoro per tutti, se si facessero». Nell'attesa Matacchiera da diversi anni gira armato, dopo essere stato minacciato di morte. Da bonficare, a Taranto, ci sono prima di tutti gli animi esasperati.
(L'Espresso)

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